Oggi scriverò un post duro. Fastidioso.
Siamo informatissimi, facciamo corsi su corsi, seguiamo webinar sull'educazione, ma questa è forse la prima generazione di genitori sconnessi dal mondo emotivo dei figli (e non solo. Siamo forse e troppo spesso, come ci dicono le ricerche, sconnessi emotivamente da tutti pur sapendo tutto potendo "spiare" la vita di ognuno dai social). Genitori che a tavola rispondono al cellulare invece che agli sguardi dei bambini e alle loro domande; alla mattina danno parole alle proprie esigenze — "corri, faccio tardi!" — mentre i bambini avrebbero bisogno di essere rassicurati sul mondo «buono» che troveranno fuori di casa.
Cresciamo così ragazzi che si emozionano poco, ma in compenso si eccitano moltissimo: eccitazione spesso artificiale, perché deriva non da una relazione ma da un’esperienza che riempie il cervello di adrenalina, da gestire in solitudine, e che non fa acquisire nessuna competenza nel controllo del corpo, delle emozioni, nella vita con gli altri
Altro indizio di disconnessione (e disattenzione): per la prima volta negli ultimi dieci anni gli incidenti domestici nella prima infanzia sono tornati a crescere. Abbiamo case più pericolose? No. I genitori fanno tante cose tutte insieme, sono multitasking, e percepiscono il pericolo con quel secondo di ritardo che non permette di prevenire l’incidente.
Siamo così attenti a sviluppare i talenti dei figli — l’era dell’agonismo, la chiama Silvia Vegetti Finzi, quella in cui i figli «devono essere i primi a scuola, nello sport, devono vincere il premio Nobel» — ma quante energie si investo, invece, per insegnare loro a riconoscere e gestire le emozioni, in modo da servirsene per costruire una vita solida, anche dal punto di vista sentimentale?
Le neuroscienze ci spiegano come l’educazione emotiva si forma attraverso un processo di apprendimento per osmosi: «I bambini sentono quello che i genitori sentono», dice Pellai «L’essere diventati multitasking, rispetto ai bisogni di protezione e sicurezza dei bambini, ci rende genitori incompetenti, perché perdiamo la dimensione fondamentale dell’attaccamento: un bambino sta bene quando l’adulto lo guarda molto e spesso negli occhi, diventando per lui uno specchio. È così che adulto e bambino riescono ad avere un buon processo di sintonizzazione emotiva».
Quante volte i bambini ci dicono: "guardami!".
Ci richiamano a quell'attenzione condivisa che sarebbe compito dell'adulto promuovere.
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